L’incontinenza urinaria

 

nelle atlete d’elite

 

 

Da qualche anno la letteratura medica sta rivolgendo il suo interesse alle disfunzioni perineali femminili correlate all’attività sportiva.

Già in passato era stato messo in rilievo che le giovani donne dedite ad attività sportive a livello agonistico potessero presentare:

  • Irregolarità mestruali (amenorrea primaria e secondaria, oligomenorrea, anovulazione ed infertilità)
  • Nelle atlete magre si era riscontrata una sindrome caratterizzata dalla triade amenorrea, osteoporosi e disturbi alimentari che si contraddistingueva per l’alto rischio di fratture da stress

Solo da pochissimi anni sono stati riportati dati epidemiologici relativi all’incontinenza urinaria (IU) in donne giovani dedite ad attività sportive a livello agonistico.

 

Queste perdite, poichè molto spesso comportano il ritiro dalla partecipazione alle attività sportive sono da considerarsi una minaccia per la salute, l’autostima e il benessere delle donne.

 

La più alta prevalenza di IU si riscontra in sport che comportano attività ad alto impatto, come la ginnastica, l’atletica e qualche gioco con la palla; questa incontinenza può presentarsi sia in atlete anatomicamente sane sia in atlete nelle quali l’attività sportiva smaschera difetti anatomici altrimenti silenti.

 

Per cercare di capire i meccanismi alla base di questa IU sono stati effettuati numerosi studi clinici su atlete agoniste che presentano questo sintomo.

 

Quasi tutti gli studi sono stati articolati in 2 fasi:

  • Una prima fase espletata attraverso l’invio di un questionario ad un campione allargato di atlete, al fine di acquisire dati statistici.
  • Una seconda fase espletata su un campione ridotto di atlete che hanno accettato di sottoporsi ad indagini cliniche per la verifica e la validazione dei dati statistici acquisiti durante la prima fase.

Nonostante gli studi, l’eziologia di questo problema non è ancora del tutto chiara e si pensa possa essere multifattoriale.

Probabilmente gli studi clinici effettuati, non hanno evidenziato un’eziologia certa perchè:

  • Il numero delle atlete che si è sottoposto alla seconda fase degli studi clinici era esiguo
  • Non sono mai state valutate atlete che non presentassero il sintomo dell’incontinenza a controllo delle atlete incontinenti
  • Le indagini cliniche, come ad esempio i test urodinamici ed ecografici, non si sono potuti effettuare durante l’espletamento dell’attività sportiva
  • Le modellazioni al computer possono non essere complete e quindi non rappresentare in modo corretto la dinamica funzionale del pavimento pelvico

Si è comunque evidenziato che la maggior parte delle atlete incontinenti durante gli allenamenti non lo è in gara.

Ciò può essere spiegato dal fatto che durante la gara ci sono livelli più elevati di catecolamine rispetto a quelli presenti durante l’allenamento e poiché l’uretra contiene α-recettori, questo maggior livello di catecolamine prodotte durante la gara può aiutare a tenerla chiusa.

 

Prima di passare a discutere i singoli fattori associati, chiariamo che sono da considerarsi sport ad alto impatto tutti quegli sport che richiedono di atterrare, correre e saltare.

Lo sport a più alto grado di perdite di urina è la ginnastica artistica (56%), a cui seguono:

  • Il balletto (43%)
  • Il tennis (31%)
  • La pallavolo (30%)
  • L’Atletica (25%)
  • La Pallamano (21%)
  • Il Basket (17%)

Hay (1993 “The biomechanics of jumping for distance”), che ha eseguito diversi studi per valutare la forza di reazione che si genera nell’impatto del piede al suolo durante diverse attività sportive, ha riferito che la massima forza di reazione verticale al suolo, da lui misurata, è la seguente:

  • 3-4 volte il peso corporeo per la corsa
  • 5 volte il peso corporeo per il salto
  • 9 volte il peso corporeo per l’atterraggio con salto mortale in avanti
  • 9 volte il peso corporeo sul piede anteriore nel lancio del giavellotto
  • 14 volte il peso corporeo per l’atterraggio dopo doppio salto mortale all’indietro
  • 16 volte il peso corporeo durante l’atterraggio nel salto in lungo

Da questo si evince che, per contrastare queste forze, il pavimento pelvico delle atlete debba essere molto più forte di quello della popolazione normale e questo è stato dimostrato da molti autori tra cui Elliasson et all (2002 Prevalence of stress incontinence in nulliparous elite trampolinist) che misurarono la forza muscolare di 10 atlete trampoliniste incontinenti con un perineometro evidenziando una forza ed una resistenza nei muscoli pelvici migliore di quella misurata con lo stesso perineometro in precedenti studi eseguiti su studentesse sane e continenti.

Viene però spontaneo chiedersi, con Kari Bo (Pelvic Floor Muscle Strength and Response to Pelvic Floor Muscle Training for Stress Urinary Incontinence 2003), se la forza di una contrazione volontaria in posizione supina possa essere rappresentativa della forza generata dalla automatica co-contrazione dei muscoli del pavimento pelvico durante il gesto atletico per contrastare l’aumento della pressione intra-addominale.

 

Per tentare di rispondere a questa domanda Zhang Y, Kim S, Erdman AG, Roberts KP, Timm GW (2009 Feasibility of using a computer modeling approach to study SUI Induced by landing a jump) hanno modellato su un CAD (Computer Aid Design) un bacino femminile simulando poi che il modello saltasse da altezze diverse e con diversi riempimenti vescicali.

Con questa tecnica innovativa sono riusciti a monitorare passo passo il comportamento del pavimento pelvico durante e dopo l’impatto al suolo evidenziando che l’incontinenza è generata da una notevole differenza tra l’entità della deformazione della parte posteriore e anteriore del pavimento pelvico.

 

Comunque, malgrado questi encomiabili sforzi, per dare una risposta certa all’eziologia della SUI nelle atlete d’elite, essendo il modello CAD ancora approssimativo, la domanda di Kari Bo rimarrà scientificamente indimostrata fintanto che non si riuscirà a valutare la funzione dei muscoli del pavimento pelvico durante l’attività sportiva.

 

Nygaard et all, per meglio comprendere gli effetti della forza di reazione verticale che si genera nell’appoggio del piede al suolo sui muscoli del pavimento pelvico ed in generale sulla loro possibile correlazione con l’IU, hanno affrontato in modo innovativo il problema.

Infatti in uno studio del 1996 (Relationship between foot flexibility and urinary incontinence in nulliparous Varsity athletes) hanno analizzato la relazione tra la flessibilità dell’arco plantare e la sua capacità di assorbimento della forza di reazione verticale chiedendosi:

Può questa elevata forza d’impatto al suolo essere uno dei fattori responsabili della genesi dell’IU nelle atlete nullipare? E qualora la risposta fosse positiva, l’attenuazione di queste onde d’urto dovuta ad un buon ammortizzamento plantare, potrebbe prevenire l’incontinenza urinaria?

 

Per rispondere alla domanda questi autori effettuarono uno studio su 47 atlete universitarie, di età compresa tra i 18 e i 20 anni, praticanti 5 sport differenti.

 

Tutte le atlete furono fornite di un questionario contenente domande mirate ad individuare la prevalenza dell’incontinenza e furono sottoposte ad un esame standardizzato dell’altezza dell’arco plantare in 2 posizioni:

  • A caviglia neutra
  • A caviglia in massima dorsi-flessione

In modo tale da simulare il cambiamento dell’altezza dell’arco durante la fase di appoggio.

 

L’ipotesi da dimostrare era la seguente:

Essendo noto che quando il piede tocca terra si generano onde d’urto, con vettore rivolto verso l’alto, che il piede assorbe abbassando l’arco plantare al fine di proteggere il contenuto pelvico, addominale, toracico e craniale, è da verificare se è altrettanto vero che un maggiore cambiamento nell’altezza dell’arco plantare durante la fase di appoggio assorba più energia trasferendone di meno al pavimento pelvico.

Questo clinicamente dovrebbe tradursi in una condizione di continenza piuttosto che di incontinenza.

 

Per verificare questa ipotesi confrontarono la flessibilità del piede, precedentemente misurata, con la prevalenza di incontinenza urinaria.

La variazione percentuale media di altezza nell’arco plantare fu 8.94 ± 0.08 % (deviazione standard) per le donne incontinenti e di 13.70 ± 0,09% per le donne continenti, indipendentemente dallo sport praticato.

 

Quindi essendo risultata un’associazione statisticamente significativa tra una diminuzione della flessibilità del piede e l’incontinenza urinaria, è possibile affermare, genericamente, che la trasmissione della forza dai piedi fino al pavimento pelvico può contribuire all’incontinenza.

 

Da quanto detto si evince che sarebbe importante avere una migliore conoscenza di come le forze d’urto vengano trasmesse dal piede al pavimento pelvico, poichè queste conoscenze potrebbero fornire importanti informazioni sui possibili interventi preventivi contro l’incontinenza urinaria e altri disturbi del pavimento pelvico, come ad esempio il prolasso genitale.

 

Gli stessi autori in uno studio del 1997 (Does Prolonged High-impact Activity Contribute to Later Urinary Incontinence? A Retrospective Cohort Study of Female Olympians) si posero le seguenti domande:

  • L’attività ad alto impatto può contribuire ad una IU futura?
  • L’attività ad alto impatto può creare danni al pavimento pelvico?

Per rispondere a queste domande hanno condotto uno studio retrospettivo, mediante questionario, su 104 Olimpioniche americane che avevano gareggiato nel nuoto (48 atlete; gruppo a basso impatto), nella ginnastica e nella atletica (56; gruppo ad alto impatto) tra il 1960 e il 1976.

La prevalenza di IU durante gli anni di attività sportiva risultò maggiore nel gruppo delle atlete ad alto impatto, ma non si rilevò alcuna differenza tra i due gruppi, nella prevalenza dei sintomi dell’incontinenza, alla data dello studio, ossia 30 anni dopo.

 

Le stesse due domande se le sono poste anche Bo & Sudgot Borgen (2010 Are former female elite athletes more likely to experience urinary incontinence later in life than non-athletes?) effettuando uno studio sulle stesse 603 atlete della nazionale Norvegese, rappresentative di 58 discipline sportive, su cui avevano precedentemente effettuato uno studio nel 2001 per valutare una possibile associazione tra incontinenza da stimolo e da sforzo e disturbi alimentari e irregolarità mestruali (2001 Prevalence of stress and urge urinary incontinence in elite athletes and controls.), concludendo anche loro che per le atlete che hanno praticato sport a basso, medio ed alto impatto, non c’è un aumento della prevalenza di incontinenza urinaria più avanti negli anni rispetto ai controlli, anche se risulta che le atlete che soffrivano maggiormente di SUI quando gareggiavano, mostrano alla data, una maggior affinità all’incontinenza.

 

Da questi risultati si può quindi dedurre che l’attività ad alto impatto non contribuisca ad un rischio maggiore di IU futura, ma con questo non si può escludere che non vi sia una possibilità che esercizi stimolanti provochino danni a lungo termine o modificazioni funzionali al pavimento pelvico.

Infatti Davis e Goodman (1996: “ Stress Urinary Incontinence in nulliparous female soldiers in airborne infantry training”)in un loro studio hanno riscontrato, in sei reclute nullipare della fanteria aereotrasportata femminile, difetti di supporto del pavimento pelvico ed incontinenza da sforzo a seguito dell’addestramento al lancio con il paracadute, come pure Kruger JA, Dietz HP, Murphy BA (2007 Pelvic floor function in elite nulliparous athletes) utilizzando nuove tecniche all’ultrasuono (3D e 4D), che consentono la caratterizzazione non solo morfologica ma anche funzionale del pavimento pelvico, trovarono che tutte le 24 atlete nullipare valutate, praticanti sport ad alto impatto, mostravano un diametro medio più elevato del muscolo puboviscerale (0,96 cm contro0,70 cm), una maggiore discesa del collo della vescica (22,7 mm contro15.1 mm) e un’area iatale più ampia sulla manovra di Valsalva (21,53 cm2 contro 14,91) rispetto al gruppo di controllo di pari età, ma non praticanti attività sportiva, cosa che ci si sarebbe aspettato da persone con muscoli del pavimento pelvico deboli e non trofici come quelli delle atlete.

Sulla base di questi dati, gli autori, hanno ipotizzato che questa maggiore estensibilità di un muscolo trofico possa essere dovuta a differenze del tessuto connettivo o ad una differente biomeccanica del muscolo, quali conseguenze degli allenamenti ad alto impatto.

 

Quindi si può concludere che sarebbe utile una ricerca in altri settori quali la fisiopatologia di collagene, la neurofisiologia, e la genetica per poter evidenziare od escludere la possibilità di danni o comprendere le modificazioni funzionali al pavimento pelvico delle atlete d’elite derivanti da attività ad alto impatto prolungate nel tempo.

 

Definito cosa si intende per sport ad alto impatto analizziamo i fattori contribuenti all’IU femminile attualmente riconosciuti:

  • Affaticamento muscolare del pavimento pelvico; mutazione e riduzione della concentrazione di collagene
  • La triade della donna atleta, costituita da:
    • Inappropriati modelli alimentari
    • Osteoporosi
    • Amenorrea
  • Indice di massa corporea (BMI)
  • Disfunzione del tono e del coordinamento muscolare del pavimento pelvico
  • Anni, durata e frequenza dell’allenamento
  • Parto naturale

 

Affaticamento muscolare del pavimento pelvico; mutazione e riduzione della concentrazione di collagene

 Eliasson et all (2002 Prevalence of stress incontinence in nulliparous elite trampolinist) hanno dimostrato, in uno studio condotto sulle 35 migliori trampoliniste Svedesi, che non basta avere un pavimento pelvico forte per essere continenti, ma è anche necessario che la muscolatura abbia una buona resistenza.

Lo studio ha infatti evidenziato che dell’80% (28 su 35) delle atlete che si era rivelata incontinente durante gli allenamenti, ben il 54% (15 su 28) lo era alla fine della sessione d’allenamento evidenziando che i muscoli del pavimento pelvico debbano essere non solo forti ma anche resistenti.

 

Anche Caylet N, Fabbro-Peray P, Marès P, Dauzat M, Prat-Pradal D, Corcos J., da un questionario proposto in un loro studio del 2006 (Prevalence and occurrence of stress urinary incontinence in elite women athletes) evidenziarono che per la continenza è bene che i muscoli del pavimento pelvico siano non solo forti ma anche resistenti poichè emerse che le atlete avevano registrato la maggior perdita di urina durante la seconda parte della sessione di allenamento e la seconda parte della gara.

 

Kegel per primo nel 1948 scrisse che un allenamento della forza del pavimento pelvico non solo aumenta il tono muscolare, ma incrementa anche la rigidità del tessuto connettivo permettendo al pavimento pelvico di assumere una posizione più alta all’interno del bacino realizzando quella che lui chiamò “chiusura” del pavimento pelvico.

Quanto detto da Kegel fu confermato nel 2004 da Kari Bo (Urinary incontinence pelvic floor dysfunction execrise and sport 2004) con ecografia e risonanza magnetica evidenziando che i muscoli del pavimento pelvico sono più «rigidi» ed hanno una posizione più cranica nelle donne continenti rispetto alle donne incontinenti.

Indirettamente anche Eliasson et all, nell’articolo sopra citato, hanno confermato l’ipotesi di Kegel osservando che un muscolo affaticato ed esaurito, potendo provocare la distensione del tessuto connettivo con conseguente discesa del pavimento pelvico, può contribuire alla genesi dell’IU.

 

In un altro articolo, Prather (Pelvis and sacral dysfunction in sport and exercise 2000) evidenziò come l’affaticamento muscolare del pavimento pelvico ed i cambiamenti di collagene o tessuto connettivo fossero fattori contribuenti per l’IU.

Anche Bo et al (Prevalence of stress and urge urinary incontinence in elite athletes and controls 2001) confermarono i dati ottenuti da Prather rilevando che mutazioni di collagene sommandosi alla fatica muscolare, per attività ad alto impatto, possono generare incontinenza da sforzo ed in più evidenziarono che le nullipare con incontinenza avevano una riduzione della concentrazione di collagene nel tessuto rispetto ai controlli utilizzati nel loro studio.

 

In aggiunta a quanto detto sopra,anche gli studi di Al-Rawi 1982; Ulmsten et al 1987; Norton, Baker, Sharp Warenski 1990; Keane et al. 1997; hanno mostrato una correlazione tra la riduzione della concentrazione di collagene e l’incontinenza da sforzo e quindi ipotizzarono che probabilmente è per questo motivo che la ginnastica artistica presenta il più alto tasso di incontinenza.

Inoltre Nygaard et all 1994 hanno evidenziato che ad una riduzione della concentrazione di collagene corrisponde una maggior lassità articolare ed un rilassamento pelvico, concludendo che una donna con articolazione ipermobile può essere incoraggiata a fare ginnastica, ma è già predisposta per l’incontinenza.

 

 

La triade della donna atleta:

La triade dell’atleta donna, è un grave fenomeno evidenziato nel 1993 da Yeager et all.

Essa comprende:

  • Inappropriati modelli alimentari
  • Osteoporosi
  • Amenorrea

E’ causata dall’unione tra:

  • Esercizio intenso
  • Pressione psicologica per il corpo ”ideale” (magro o addirittura con un aspetto prepuberale) indispensabile per ottenere prestazioni ottimali

Poichè le tre patologie sopra riportate, come facenti parte della triade, sono strettamente interallacciate, anche se non si manifestano contemporaneamente, le tratteremo assieme.

 

Inappropriati modelli alimentari che includono digiuno, saltare i pasti, l’uso di pillole dietetiche, lassative o l’assunzione di diuretici sono riscontrabili, come riportano Greydanus et all (The female athlete before and beyond puberty 2002), nelle atlete adolescenti dal 15% al 75%.

Molte volte tali abitudini alimentari nutrizionalmente povere possono rendere l’atleta vulnerabile e quindi esposta a rischio di infortuni.

 

Le donne che enfatizzano il basso peso del corpo partecipano, di norma, a sport come: ginnastica, corsa di lunga distanza, piscina, pista e immersioni.

 

Bo e Borgen in un loro studio (2001 Prevalence of Stress and Urge Incontinenza in Elite Athlete and Controls) hanno dimostrato che i disturbi dell’alimentazione predispongono le atlete ad IU.

Infatti nel loro studio, la prevalenza di incontinenza urinaria nelle atlete con disturbi dell’alimentazione (20% delle atlete esaminate) fu significativamente superiore rispetto a quella presentata nelle atlete senza tali disturbi: 38,8% contro il 15%.

 

Anche Araújo MP, Oliveira E, Zucchi EV, Trevisani VF, Girão MJ, Sartori MG in un loro studio del 2008 (The relationship between urinary incontinence and eating disorders in female long-distance runners) condotto su 37 atlete maratonete evidenziarono una correlazione significativa tra IU (valutata al pad test e mediante questionario) e disturbi alimentari (valutati mediante questionario).

Questa correlazione fu individuata sottoponendo le atlete:

  • Alla forma abbreviata del Consultation on Incontinence (ICIQ FS-MED), per assumere informazioni sulla loro eventuale incontinenza urinaria
  • Alla forma abbreviata dell’Eating Attitudes Test (EAT-26), per individuare l’eventuale presenza di disturbi alimentari
  • Al Pad test, per misurare la quantità di urina persa

Greydanus et al (The female athlete before and beyond puberty 2002) riportano che inappropriati modelli alimentari possono anche essere causa di amenorrea.

L’amenorrea inoltre può essere causata anche dall’intenso allenamento.

 

Le atlete possono presentare sia amenorrea primaria (mancanza del menarca) che secondaria (mancanza del flusso mestruale dopo l’arrivo del menarca) sia oligomenorrea (mestruazioni infrequenti ed irregolari).

Per quanto riguarda l’amenorrea primaria si è visto che per ogni anno di intenso allenamento prepuberale ci può essere un ritardo di 5 mesi per il menarca.

L’amenorrea secondaria invece si riscontra nel 10-15% delle atlete e fino al 66% delle atlete d’elite.

 

L’eziologia dell’amenorrea nelle atlete è multifattoriale:

  • Età
  • Peso
  • Stress psicologico
  • Carenze nutrizionali
  • Predisposizione genetica
  • Percentuale di grasso corporeo
  • Quantità di esercizio
  • Altro

L’atleta amenorreica o che ha cicli mestruali irregolari può avere livelli di estrogeno bassi che possono contribuire allo sviluppo di incontinenza.

 

Un’attenta valutazione è, quindi, consigliata per l’atleta adolescente che presenta un menarca ritardato, un’amenorrea secondaria o un’oligomenorrea, perché una prolungata ipoestrogenemia può contribuire alla genesi, oltre dell’osteoporosi, anche dell’IU.

 

L’integrazione di estrogeno è consigliata per le adolescenti con amenorrea se hanno 3 anni di ritardo del menarca ed età superiore ai 16 anni.

La terapia ormonale può essere iniziata prima se l’atleta ha subito una frattura da sforzo.

 

Sempre Greydanus et all hanno evidenziato, a seconda del livello di competizione, un’incidenza dal 5% al 20% di anoressia nervosa nelle ballerine che può indurre amenorrea ipotalamica ed evolvere in Osteopenia a causa di un deficit di estrogeni.

La ragazza quindi non svilupperà una densità minerale dell’osso normale (BMD) e sarà a rischio futuro di osteoporosi.

Infatti la genetica sembra responsabile fino al 70% della BMD finale, mentre il restante 30% sembra essere influenzato da altri fattori correlati tra loro, come il peso corporeo, l’assunzione di calcio, lo status di estrogeni, gli esercizi e altro.

Dato che l’estrogeno facilita la mineralizzazione ossea, le atlete con deficit cronico di estrogeni (come in caso di amenorrea) sono più esposte a fratture da sforzo (e osteoporosi futura), infatti su corritrici e ballerine con palesi i disturbi alimentari si è riscontrato un maggiore numero di fratture da sforzo.

 

 

Indice di massa corporea (BMI):

L’indice di massa corporea (BMI – body mass index) esprimendo il rapporto tra il peso e l’altezza al quadrato di un’atleta è spesso utilizzato nelle correlazioni che vengono effettuate negli studi ed in particolare si è vista una correlazione tra un BMI alto, che trattandosi di atleti è nel range di 20-30, ed incontinenza urinaria.

 

Nygaard (Does Prolonged High-impact Activity 1997) in uno studio su 207 ex Olimpioniche evidenziò che tra i fattori età, indice di massa corporea (BMI) e maternità, solamente l’indice di massa corporea (BMI) era associata con sintomi regolari di incontinenza da sforzo o da stimolo.

 

Bo & Sudgot Borgen (2001 Prevalence of stress and urge urinary incontinence in elite athletes and controls) avendo diviso gli atleti e i controlli (non atlete di pari età) in base al loro valore di BMI in basso (<18.5), ideale (18.6–24.9) e alto (>25) non osservarono alcuna differenza significativa nella prevalenza di incontinenza urinaria da sforzo o da stimolo nelle atlete (il campione era limitato come era limitata la variabilità della BMI), ma osservarono una maggiore prevalenza di SUI nei controlli con alto BMI.

 

 

Disfunzione del tono e del coordinamento muscolare del pavimento pelvico:

Prather (2000 pelvis and sacral dysfunction in sport and exercise) ha evidenziato che l’incontinenza urinaria da sforzo non è sempre associata ad una debole muscolatura del pavimento pelvico e che, spesso, la disfunzione del tono e del coordinamento muscolare possono essere la causa dell’incontinenza.

Prather introduce quindi il concetto che i due emilati del pavimento pelvico possano lavorare in modo scoordinato alterando il comportamento fisiologico e generando quindi le condizioni per una possibile IU.

 

 

Anni, durata e frequenza di allenamento:

Eliasson et all (2002 Prevalence of stress incontinence in nulliparous elite trampolinists) rilevarono che l’IU nelle atlete d’elite trampoliniste era iniziata mediamente dopo 2 anni e mezzo dall’inizio degli allenamenti, con frequenza di 4-5 volte alla settimana, evidenziando che anche la frequenza e la durata, oltre all’intensità degli allenamenti, fossero fattori predisponenti l’IU.

 

 

Parto naturale:

In aggiunta ai rischi descritti in precedenza, l’atleta donna o praticante attività sportiva che ha avuto una maternità può avere altri fattori che contribuiscono allo sviluppo d’incontinenza, infatti diversi studi hanno mostrato una significativa denervazione nei muscoli del pavimento pelvico delle donne che hanno partorito naturalmente.

La denervazione, con successiva debolezza muscolare, richiede adeguamenti in funzione e tono del muscolo per compensare la perdita.

Tali adattamenti possono comunque lasciare la donna a rischio di incontinenza e di sindromi miofasciali dolorose.

 

 

Conclusioni

Da quanto visto nella discussione degli articoli scientifici emerge chiaramente che ad oggi non si è compresa la vera eziologia dell’incontinenza urinaria nelle atlete perchè da una parte si parla di eziologia multifattoriale, da altre di diversa funzionalità muscolare o di deformazione asimmetrica degli emilati (anteriore e posteriore) del pavimento pelvico, ma il vero perchè un’atleta sia continente alla tosse, che genera una pressione intraddominale superiore a quasi la totalità dei gesti atletici ad alto impatto, e non lo sia durante l’attività sportiva resta inspiegato.

Probabilmente andando avanti con gli studi ed il progresso tecnologico, potendo installare dei sensori direttamente sulle atlete durante le loro prestazioni sportive, si potranno individuare diverse forme d’incontinenza urinaria, ognuna relativa allo specifico sport.

E’ comunque necessario proseguire negli studi, perchè laddove questa ipotesi fosse vera probabilmente anche le riabilitazioni sarebbero diverse.

 

In attesa di ciò, si consiglia una sorveglianza perineale nelle giovani donne dedite ad attività sportiva a livello agonistico, poiché gli aumenti pressori addominali, frequenti ed intensi, possono (in presenza di un supporto muscolare non adeguato dato dagli elevatori dell’ano) porre le basi di un iniziale de-scensus e di un deficit del riflesso addomino-perineale con conseguenze ovvie sulla continenza urinaria e sulla statica pelvica.

 

Per poter attuare una vera prevenzione al riguardo si ritiene necessario cointeressare al problema tutti i preparatori atletici, gli allenatori, i laureati in scienze motorie e comunque, qualora si renda necessario, è opoortuno effettuare una riabilitazione che contempli non solo tecniche fisoterapiche tradizionali, ma anche osteopatiche e di ginnastica ipopressiva addominale.